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The Last Dance: la nostra ancora di salvezza

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THE LAST DANCE: LA NOSTRA ANCORA DI SALVEZZA

Che dire del docufilm in onda in questi giorni dedicato a quella meravigliosa ultima poetica stagione dei Bulls dell’iconico 23?
Evento fortunatamente anticipato, atteso quasi come le uscite dei mixtape della And One e che, senza scomodare Schopenhauer secondo cui la vita e’ un pendolo tra dolore e noia, ci ha reso meno dura la reclusione pandemica.

di Umberto Ducoli

ESPN ha dichiarato di aver lavorato alla realizzazione della serie basandosi su un girato complessivo di 500 ore, concentrate in 10 meravigliose perle e gia questo dato da solo cristallizza l’impresa.
Una trama semplice ma intricata, con colpi di scena che nemmeno in un romanzo li trovi tutti insieme e poi ti fermi, ci pensi e consideri che e’ successo davvero. Personaggi caratteristi che nel “durante” del loro lavoro di atleti, tutt’altro che semplice, diventano attori protagonisti, tutti peculiari: il Campione, il secondo violino, il giullare folle, il biondino da Beirut, il GM cattivo, tutti all’ombra dello spirito guida coach Zen.

L’evento non risulta solo mediatico, ma coinvolge, unendole, le generazioni, quando ad esempio padre e figlio lo guardano insieme (e magari, ma dico magari, il padre l’ha gia visto di nascosto da solo).
Della storia di quella squadra, tra le piu forti di sempre, senza necessariamente i numeri migliori, ma con quell’aurea mistica che ne ha consolidato lo status di leggenda, si sa tutto. Ma sentendo le prime note di “Sirius” degli Alan Parsons Project che fa da sfondo all’ingresso in campo dei Tori a qualcuno di noi viene ancora la pelle d’oca.

Ripercorrendo la stagione NBA del 1997 oggi, in un età differente per tutti, emergono dalle interviste i retroscena che ti incatenano allo schermo. La materia trattata, di per se di nicchia, viene trasformata in qualcosa di accessibile a tutti, interessante anche per i meno devoti della palla a spicchi.

Da sottolineare inoltre come MJ, l’etoile riconosciuta della squadra, da sempre parco di parole, finalmente ci riveli un po di verità. Appare di fatto quasi piu’ reale, ricordandoci che il logo commerciale jumpman e’ il simbolo piu’ riconosciuto nel mondo dopo quelli religiosi. Vederlo parlare sempre da seduto (come nella celebre intervista di Ahmad Rashad “one on one”) e con la sclera dell’occhio arrossata induce a pensare al pegno pagato dal suo corpo per quelle intense lotte sportive.

Un regalo inatteso quindi che un po’ addolcisce le permanenze domiciliari forzate di questo periodo e ci alleggerisce i pensieri direzionando la mente al gioco piu bello del mondo.

Nel frattempo ci prepariamo alle prossime puntate e ancora di piu’ aspettiamo la conferma delle indiscrezioni circa un identica produzione con protagonista l’indimenticato Kobe, seguito da una troupe televisiva nel corso del suo farewell del 2016.

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